
racconto di Adriano Fischer
Era giovedì. Tirava un vento freddo. Bisognava sollevare il gomito all’altezza del viso per proteggersi da questi aculei invisibili. Il cielo andava rannuvolandosi, poi schiarite impreviste, poi di nuovo si rannuvolava. Non pioverà, come da un paio di settimane, ma le signore avevano già aperto tutte l’ombrello.
La vetrina del barbiere era opaca, la bottega si scorgeva appena dalla strada, era vuota, e lui era fuori che fumava annoiato una sigaretta. Teneva gli occhi socchiusi che si perdevano tra le rughe e una frangia di capelli che gli cadeva a riga sulla fronte. Non ricambiava i saluti, se non impercettibilmente, quando erano insistenti, quando la gente gli si parava davanti.
Il bengalese che vestiva una salopette larga e lacera sistemava le casse di frutta l’una sull’altra. Lo faceva ogni giorno verso quest’ora e Piero lo osservava inspiegabilmente curioso perché sembrava che si stesse preparando per chiudere, quando in realtà tirava fino a notte fonda.
Dalla mezzanotte quest’angolo di quartiere era pieno di studenti che per due lire acquistavano birre e super alcolici e li scolavano sul marciapiede o su una panchina che il bengalese era riuscito a recuperare e che aveva inchiodato per terra. Il sabato poteva capitare che una pattuglia della polizia controllasse l’attività ma poi finiva con sconticini e mazzette agli agenti che, fingendo sobrietà, fumavano appoggiati su un fianco dell’auto.
In realtà i ragazzi non facevano neppure tutto questo chiasso, Piero già era a letto che dormiva da un pezzo mentre la gioventù sorseggiava birra e scrollava ipnotizzata il suo smartphone. È strano che non s’incrocino più come una volta gli sguardi della gente. Quando capita, l’espressione è buia, come assente, non si direbbe assorta in chissà che pensieri ma piuttosto sconnessa. È questo vale di giorno quanto di notte. All’aperto come in ufficio.
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